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Se a Porto
Venere gli
incendi dei
boschi
continueranno
col ritmo
attuale di
questi giorni,
fra qualche anno
ne rimarrà il
solo ricordo nei
quindici pini
che un provvido
amministratore
del passato ha
disposto
sull’antica
playa (la
spiaggia)
pre-genovese,
dove spesso
sediamo con
Ettore Andrea
Mori — ospite
estivo — a
goderci i
discorsi, i
racconti (e
perché no il
mugugno?) di
vecchi amici
pensionati,
marinai,
pescatori,
lavoratori,
eccetera.
— Avvocato, quanti anni ha Porto Venere? —
gli domanda, a
bruciapelo, uno
di essi. Non è
una « domandina
facile, facile »
come talune dei
quiz televisivi.
— E Mori gli risponde, con altrettanta
prontezza: « Gli
anni della
chiesa dì San
Pietro! ».
Quella,
s’intende, che
da secoli sfida
le tempeste
sulla prua
speronata della
bianca
penisoletta
omonima lanciata
verso il Golfo
Ligure. Essa ne
è l’inimitabile
« polena », un
quadro
panoramico « da
milioni di
dollari », come
lo sentii
definire da un
turista
americano che
l’ammirava,
nella sua
pittorica
cornice di
rocce, dalla
sottostante
piazza Lazzaro
Spallanzani.
Sì, gli anni della chiesa, o meglio delle
chiese, di San
Pietro. E Mori,
che ha
particolarmente
caro l’argomento
— i famosi
restauri del
1929-1934 si
fecero sotto la
sua
amministrazione
di capo del
comune —
cominciò a
spiegare ai
vecchi
amministrati,
pendenti dal suo
labbro, le
vicende storiche
del loro
tormentato
paese: tormento
degli elementi,
che nella
stagione
invernale sembra
lo vogliano
scardinare dalle
sue rocce di
marmo portòro;
tormento di
spietati
assalitori, da
Annone
cartaginese che
assalì Portus
Veneris, base
navale dei
Romani, nel 205
avanti Cristo,
ai Pisani che
invano lo
attaccarono più
volte nel Medio
Evo sotto il
dominio
genovese, agli
Aragonesi (tre
anni dopo la
scoperta
dell’America)
che, per la
prima volta,
martellarono con
bocche da fuoco
navali,
danneggiandole
gravemente, le
ancora intatte
mura del Caffaro,
nonché le
case-fortezza e
le due
bellissime
chiese.
Di San Pietro, Mori spiega l’intricato
groviglio delle
pietre lavorate,
più volte mosse
e rimosse nel
corso di più di
due millenni,
nelle quali gli
archeologi sanno
leggere la
storia dei
paesi, come
geologi leggono
nelle rocce la
storia della
Terra.
Sicuramente, vi
sorgeva un
tempio pagano,
forse dedicato a
Venere Ericina,
del quale
restano le
tracce; poi una
chiesetta
paleocristiana
(o forse due
sovrapposte)
della stessa
corrente
monastica
orientale cui si
devono gli
oratori del
Tinetto (secolo
VI); i resti del
monastero
bizantino del
tempo di San
Venerio di cui
trattano due
famose lettere
del pontefice
Gregorio Magno;
infine l’attuale
chiesa gotico-
genovese del
1277. Sono cose
note e scritte
ad esuberanza.
Ma è tutto noto
alle miriadi di
turisti e
visitatori che
si aggirano
nella stagione
propizia fra
questo veterano
monumento della
spiritualità?
E girando la facciata, guardando dal mare
il più vetusto
monumento
panoramico del
Golfo, sospeso
sull’abisso di
rocce
dolomitiche
particolarmente
soggette a
frane;
osservando i
crepacci
insidiosi
formatisi alla
base del
prominente
mammellone, la
grotta dove la
libecciata
sbatte
tonnellate
d’acqua con
fragore da
cannonate, si
trema ai
pensiero che il
prezioso
gioiello possa
un giorno
infrangersi e
precipitare nel
nulla!
Porto Venere è oggi troppo assillata dai
problemi del
traffico
stradale — che
cresce in modo
pauroso (troppe
uova nel piccolo
paniere di
questa località
rocciosa e
terminale! ) —
per occuparsi, o
preoccuparsi,
delle sue
preziose
antichità. E fa
male, perché ne
costituiscono la
principale
attrattiva. Del
resto, la
popolazione,
checché se ne
dica, vi tiene e
ne va superba.
Tiene
soprattutto alle
due venerabili
chiese, San
Pietro e San
Lorenzo, lo
spettacolo
offertoci dai
festeggiamenti
in onore della
Madonna Bianca
deve indurci
all’ottimismo!
Fu eccezionale
l’affluenza dei
paesani e dei
bagnanti alla
suggestiva
processione
notturna con le
fiaccole, fu
ammirevole il
concorso della
locale
Associazione
Pro-Loco alla
pittorica
illuminazione
delle antichità
e delle
byroniane rocce
foranee. A Porto
Venere — a
dispetto delle
contrarie
apparenze —
qualcosa si
muove dalle
profondità dello
spirito...
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